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La rivista online di Legacoop Liguria
Ed. Aprile 2017

Licenziamento al termine del periodo di prova

Con sentenza 18 gennaio 2017 n. 1180, la Corte di cassazione è intervenuta sul tema del licenziamento del lavoratore in prova e, in particolare, sulla rilevanza del positivo superamento dell’esperimento al fine di valutare la legittimità del provvedimento.

 

La Corte d’Appello, pur rilevando l’ampia discrezionalità del datore di lavoro in ordine alla valutazione delle capacità professionali del dipendente assunto in prova, aveva accertato il positivo superamento della medesima e la mancanza di elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un valido motivo, estraneo alla prova, per procedere al suo licenziamento.

 

Tuttavia la sentenza d’appello, confermando quella di primo grado, aveva rigettato la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, condannando invece il datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura di dieci mensilità della retribuzione globale di fatto, in quanto la tutela reale di cui all’art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) potrebbe derivare solo da un recesso intimato per un motivo illecito o estraneo alla prova, mentre le risultanze istruttorie non erano univoche in tal senso.

 

La Corte di Cassazione, nell’affrontare il ricorso, ha premesso che, nella fase genetica del rapporto di lavoro, le parti possono apporre una clausola di prova, disciplinata dall’art. 2096 del codice civile, dove l’interesse prevalente è la sperimentazione e la valutazione, da parte del datore di lavoro, delle caratteristiche e delle qualità del lavoratore, nonché del proficuo inserimento di quest’ultimo nella struttura aziendale. Al termine del periodo, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, senza essere tenuto a motivare il licenziamento in modo specifico né a riconoscere il preavviso, aggiungendo tuttavia che incombe sul lavoratore licenziato, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l’onere di provare, secondo la regola generale di cui all’art. 2697 cod. civ., sia il positivo superamento del periodo di prova, sia che il recesso è stato determinato da un motivo illecito e quindi, estraneo alla funzione del patto di prova: ne consegue che la valutazione datoriale in ordine all’esito della prova è ampiamente discrezionale.

 

Pertanto la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza di primo grado “laddove, pur ammettendo che sussistano ampi margini di discrezionalità nella valutazione dell’esperimento, ha ritenuto il recesso illegittimo non in quanto esso era stato determinato da motivi ad essa estranei, ma in quanto la valutazione negativa espressa dal datore di lavoro sull’esito dell’esperimento non era giustificata, così contraddicendo le stesse premesse del ragionamento che si era posta e discostandosi dal corretto inquadramento giuridico della questione”.

 

In conclusione, la Cassazione rinvia perciò la causa al giudice d’appello, stabilendo che lo stesso  “dovrà quindi riesaminare le risultanze di causa, al fine di accertare se il recesso fosse illegittimo in quanto determinato da un motivo estraneo all’esperimento, anche considerando l’esito positivo che questo aveva avuto”.

 

Un approfondimento, con commento, della sentenza è stato pubblicato in Diritto & Pratica del Lavoro 11/2017.