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Ed. Luglio 2015

Cooperative e Studi di settore

Con i primi giorni di luglio (più precisamente, sino al 6 luglio 2015) è consentito versare le imposte senza alcuna maggiorazione per tutti i contribuenti che sono soggetti agli studi di settore; successivamente, sino al giorno 20 agosto p. v., sempre per detti contribuenti, con l'applicazione della sola maggiorazione dello 0,40%, si entra nel vivo dei pagamenti delle imposte e della predisposizione dei modelli fiscali ad esse relativi.

 

In particolare, per un gran numero di soggetti (lavoratori autonomi ed imprese) si pone il problema dell'adeguamento o meno ai valori cd. di congruità stimati dagli studi di settore. Quest'anno l'Agenzia delle Entrate con il recente provvedimento del 22 giugno u.s. ha approvato in via definitiva i 204 modelli da utilizzare per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini della applicazione degli studi di settore per il periodo di imposta 2014.

 

Secondo la valutazione effettuata dal M.E.F. (comunicato stampa del 28 maggio 2015) la platea dei contribuenti interessati dagli studi di settore relativamente ai modelli fiscali che sono stati presentati nell'anno 2014 per l'anno d'imposta 2013 è stata costituita da 3,6 milioni di soggetti (di cui il 65% persone fisiche); il reddito medio dichiarato è stato pari ad euro 25.400 per le persone fisiche, ad euro 35.500 per le società di persone e ad euro 23.800 per le società di capitali e gli enti.

 

Orbene, proprio partendo da questi dati generali, si ripropone per le società cooperative la problematica di sempre. Ci si chiede se dette società, che svolgono sicuramente attività in ambito economico, siano soggette o meno, in stretta ragione della loro particolare natura mutualistica, alla disciplina degli studi di settore e quindi alla loro pratica applicazione.

 

La domanda infatti non è priva di fondamento, in quanto lo studio di settore nasce quale strumento accertativo, a disposizione dell'Amministrazione finanziaria, di matrice analitico - induttiva, al fine di individuare le condizioni effettive di ordinaria operatività di imprese e di  professionisti, in modo da pervenire alla determinazione di un livello di ricavi e/o compensi che con ragionevole probabilità possa essere loro attribuito.

 

Il presupposto fondante dello studio di settore è l'inclusione del soggetto che è monitorato, in forza di una serie di dati ed elementi richiesti, qualitativi e quantitativi, che connotano la sua attività, all'interno di un cd. cluster, ossia di un “gruppo” di operatori economici i quali vengono assimilati fra loro per le caratteristiche operative, a cui, poi, in funzione dei dati di ricavo e di costo dichiarati dal contribuente, vengono associati livelli minimi e puntuali di congruità dei ricavi dichiarati, a cui conseguono differenti redditi imponibili.

 

Laddove si forma uno scostamento, ossia una divergenza fra i ricavi calcolati dal software dello studio di settore e quelli dichiarati dal contribuente, si pone il problema, quale fosse un vero dubbio amletico, se adeguarsi o meno al livello di ricavi proposto dallo studio di settore.

 

Ed il nocciolo della questione sta proprio qua: il software utilizzato dagli studi di settore è impostato per situazioni di normalità economica, ossia, con tutte le limitazioni derivanti dal metodo probabilistico adottato, assolve al suo compito di strumento (assai approssimativo) di misurazione della fedeltà dichiarativa del contribuente nella misura in cui le imprese operano a scopo di lucro, secondo regole ordinarie economiche di mercato.

 

Nel caso delle società cooperative, invece, ciò che connota la loro attività non è la finalità del lucro, bensì la loro natura mutualistica, ossia la loro diversità di essere e di operare rispetto al panorama generale delle imprese; sono organizzazioni complesse di persone e di beni sicuramente dedite allo svolgimento di attività economica, ma nel cui ambito non prevale mai l’aspetto speculativo (salvo si tratti di cooperative cd. spurie, cioè di false cooperative), in quanto in tutti questi soggetti all’elemento del lucro viene anteposta la persona, con tutti i suoi valori ed i suoi bisogni, cui la medesima cooperativa tende a soddisfare.

 

In questo ambito di diverse attività, esclusivamente e/o prevalentemente mutualistiche, le logiche economiche tradizionali di mercato, volte al perseguimento del mero profitto, non operano; di conseguenza, anche lo strumento accertativo dello studio di settore che è nato ed è quindi impostato per misurare tali grandezze economiche, mal si adatta a valutare le molteplici diversità del mondo cooperativo.

 

Di questo fatto anche il legislatore fiscale gradualmente ha preso atto, seppure ancora in modo, si può dire, timido.

 

Ad oggi, ed in via sintetica, la situazione è la seguente.

 

Gli studi di settore non si applicano: a) nei confronti delle società cooperative, società consortili e consorzi che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate; b) nei confronti delle società cooperative costituite da utenti non imprenditori che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi.

 

Tra i primi soggetti (lettera a) possono rientrare, ad esempio, le cooperative di acquisti collettivi in agricoltura, le cooperative di vendita ai soci di macchine agricole, i consorzi operativi di servizi, quali i servizi amministrativi, tecnici, logistici e/o di consulenza. Tra i secondi soggetti (lettera b) possono rientrare, ad esempio, le cooperative edilizie di abitazione, siano esse a proprietà divisa ovvero indivisa, le cooperative di consumo che effettuino vendite esclusivamente a favore di soci non imprenditori, le cooperative per la produzione e la distribuzione di energia elettrica.

 

In buona sostanza, restano escluse dall’utilizzo degli studi di settore solo le cooperative a cd. mutualità pura, ossia tutte quelle imprese, configurate quali società cooperative, che non intrattengono rapporti con il mondo esterno rispetto alla loro compagine sociale.

 

Tale interpretazione è stata da sempre sostenuta dall’Amministrazione finanziaria; in primis con la circolare del Ministero delle Finanze - Dipartimento delle Entrate del 21 maggio 1999 n. 110/E con cui è stato chiarito che “ Le cause di inapplicabilità … fanno riferimento alle cooperative di imprese e quelle di utenti che non operano per conto terzi e che non seguono le ordinarie regole di mercato”.

 

Parimenti, in senso conforme, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 14 novembre 2007 n. 330/E.

 

Di conseguenza, alla luce di tali indicazioni ufficiali dell’A.F., si può evincere che ancora in oggi soltanto le cooperative che svolgono attività rivolte esclusivamente a favore dei soci, o associati, o utenti, sono escluse dall’applicazione degli studi di settore.

 

In tali precisi casi, ove operi appunto l’esclusione, le società cooperative non sono tenute alla compilazione dello studio di settore, ma, salvo esclusioni specifiche, sono tenute alla compilazione del modello dei parametri di impresa e degli indicatori di normalità economica (INE).

 

 

Si badi bene che l’esclusione dagli studi è tassativa. Con la circolare n. 23/2013 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla inapplicabilità degli studi di settore nei confronti di cooperative e consorzi di imprese che operano nel settore degli appalti di lavori, di servizi, di forniture in campo edile, normalmente costituti appositamente per il raggiungimento dei requisiti minimi di idoneità tecnica e finanziaria, necessari ai fini della partecipazione alle gare di appalto. In questi casi, spesso, il consorzio ovvero la cooperativa individuata come capofila, una volta aggiudicatisi i lavori, assegna gli stessi alle altre imprese consorziate / socie, rendendo in tal modo possibile alle medesime imprese di accedere alla esecuzione di opere complesse. Normalmente, in tali casi, le imprese consorziate / socie che svolgono i lavori fatturano nei confronti del consorzio ovvero della cooperativa capofila che, a sua volta, rifattura nei confronti del committente finale, ente pubblico ovvero soggetto privato.

 

Secondo l’Agenzia delle Entrate, in tali situazioni, non si può invocare l’inapplicabilità degli di settore, in quanto l’elemento dirimente ai fini della sussistenza della stessa risiede nella presenza o meno di attività svolte esclusivamente a favore dei soci.

 

Di converso, gli studi di settore trovano applicazione nei confronti di tutte le altre società cooperative, fra cui in primis quelle a mutualità prevalente.

 

In riferimento però a queste ultime società cooperative, ossia a quelle la cui attività viene svolta a favore dei soci o associati o degli utenti in via prevalente, ma non in via esclusiva, a seguito dell’art. 6 del decreto del 28 dicembre 2012 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze è stato previsto che i risultati degli studi di settore non possono essere utilizzati per l’azione automatica (diretta) di accertamento fiscale. Le medesime società cooperative dovranno comunque compilare e trasmettere all’Agenzia delle Entrate il relativo modello dello studio di settore. I risultati degli studi di settore relativamente a tali cooperative potranno essere utilizzati esclusivamente per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo con le ordinarie metodologie di accertamento.

 

Rimane peraltro centrale in tali casi la funzione del contradditorio fra contribuente ed A.F.; gli Uffici fiscali, infatti, verificata preventivamente la sussistenza dei requisiti mutualistici di cui all’art. 26 D.L.C.P.S., dovranno comunque tenere conto delle particolari “ …situazioni di mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici che possono incidere in maniera anche rilevante sui ricavi conseguiti” (Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 330/E sopra citata; confermata dalla circolare 15 luglio 2013 n. 23/E della medesima Agenzia).

 

Un problema particolare nell’ambito dei calcoli effettuati dal software dello studio di settore è determinato dai ristorni, in quanto i medesimi influenzano la determinazione del ricavo cd. puntuale.

 

Sull’argomento è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con una nota del 4 agosto 2008, in risposta ad una Centrale Cooperativa. L’orientamento assunto dall’A.F. è il seguente: sia se deliberati quale destinazione dell’utile di esercizio, sia invece se imputati direttamente al conto economico, i ristorni non devono avere alcun effetto sui risultati degli studi di settore e dei parametri.

 

La stessa nota, tuttavia, precisa che i ristorni debbono essere evidenziati tra i costi nel rigo F23 del modello studi di settore.

 

 

In tale caso si suggerisce di utilizzare l’apposita sezione del modello dello studio di settore denominata “ note aggiuntive”, specificando descrittivamente tale particolare situazione.

 

Egualmente, si suggerisce l’utilizzo della sezione “ note aggiuntive ” anche per segnalare l’effetto distorsivo che è generato dalla necessità di quadrare il dato del reddito imponibile indicato nel quadro del reddito d’impresa con il pari valore di cui al quadro degli elementi contabili del modello dello studio di settore, conseguente alla fruizione delle agevolazioni fiscali, sia se riferite alla quota detassata dell’utile di esercizio, sia se relative alla quota esente del reddito d’impresa.

 

Le principali agevolazioni fiscali che devono essere segnalate, se di importo significativo, sono le seguenti:

 

  • quota detassata degli utili destinati a riserva indivisibile di cui alla legge 904/1977;
  • quota del 3% dell’utile destinata ai fondi mutualistici;
  • reddito esente di cui agli articoli 10 e 11 del D.P.R. 601/1973.

 

Tale necessità di quadratura genera nella sostanza dei costi “fittizi”, i quali inevitabilmente influenzano l’algoritmo di calcolo dei ricavi e, se appunto significativi di importo, possono  determinare la non congruità dei ricavi esposti a bilancio e dichiarati dal contribuente.

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a cura del dott. Gioacchino Dell'Olio