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Ed. Settembre 2014

Il modello organizzativo ex D. Lgs. 231 e la figura dell’Organismo di vigilanza

Ospitiamo un approfondimento a cura del dott. Gioacchino dell’Olio, che ringraziamo per il contributo, preannunciando che sull'argomento organizzeremo un apposito Seminario per il prossimo 25 settembre.

 

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In questi ultimi anni si afferma sempre di più, anche nelle società cooperative di non elevate dimensioni, il ricorso alla figura del cd. Organismo di Vigilanza (OdV). Vediamo di capire di cosa si tratta e di tratteggiarne brevemente il profilo, riservandosi un eventuale successivo approfondimento qualora sia di interesse del cortese Lettore.

Il D. Lgs. 8 giugno 2011 nr. 231 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità civile, di tipo amministrativo, in capo alla persona giuridica considerata quale centro autonomo di interessi e di rapporti giuridici. Tale responsabilità, sebbene sia di natura civile, in quanto può comportare rilevanti sanzioni amministrative a carico delle società ed enti, ha per così dire una derivazione penale posto che il suo accertamento avviene nell’ambito del processo penale; inoltre, ha quale presupposto fondante il compimento di uno dei reati previsti dal medesimo D. Lgs. 231 da parte di una o più persone che rivestano funzioni apicali ovvero siano invece meramente persone in posizione subordinata nell’ambito delle società ed enti soggetti alla normativa.

I soggetti a cui la norma si riferisce sono in breve i seguenti: società di capitali, cooperative, fondazioni, associazioni riconosciute, enti privati ed enti pubblici economici, enti privati che esercitano un servizio pubblico in virtù di una concessione o di una convenzione; parimenti, si applica anche ai soggetti che sono sprovvisti di una vera e propria personalità giuridica, quali le associazioni non riconosciute; inoltre trova applicazione anche nei confronti delle società di persone e dei consorzi. Sono esclusi le imprese individuali e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (le due Camere del Parlamento e la Corte Costituzionale), i partiti politici ed i sindacati, gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni) e le altre Amministrazioni pubbliche. 

I reati cd. presupposto per l’applicazione della normativa sono molteplici, ma in ossequio al principio di legalità sono tassativamente elencati negli articoli 24 e 25-duodecies del D.Lgs. 231; si annoverano i seguenti: reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione; delitti informatici e trattamento illecito dei dati; delitti di criminalità organizzata; reati di falsità in monete, carte di pubblico credito, in valori di bollo ed in strumenti od in segni di riconoscimento; delitti contro l’industria e il commercio; reati societari; reati con finalità di terrorismo; pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili; delitti contro la personalità individuale; reato di abuso di mercato; reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro; ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, di beni o di utilità di provenienza illecita; delitti in materia di violazione del diritto di autore; induzione a non rendere dichiarazioni od a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità Giudiziaria; reati ambientali; impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

Nel caso in cui il procedimento penale si concluda con l’accertamento di uno o più dei reati di cui all’elencazione dianzi riportata, si applicano alle società ed agli enti che sono coinvolti le sanzioni pecuniarie; nelle ipotesi di particolare gravità trovano inoltre applicazione le sanzioni cd. interdittive: interdizione all’esercizio dell’attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; etc.; sino alla pubblicazione della sentenza di condanna.

Orbene, a fronte di una responsabilità amministrativa di natura quasi oggettiva, così vasta ed importante, quale strumento hanno le società e gli enti per potersi difendere ? Due sono essenzialmente le esimenti.

Innanzi tutto, ulteriore presupposto per la responsabilità a norma del D. Lgs. 231 risiede nel fatto che il reato eventualmente commesso sia stato posto in essere nell’interesse o nel vantaggio delle medesime società ed enti. Non si configura alcuna responsabilità ex D. Lgs. 231 se le persone cd. agenti (poste in funzione apicale ovvero in posizione subordinata), ossia quelle  persone che hanno commesso il reato, abbiano agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi. A tale riguardo, è comunque sufficiente che la condotta dell’autore dell’illecito, presupposto per fare scattare la responsabilità civile in capo alle società ed enti, tenda oggettivamente e concretamente a realizzare un seppure minimo vantaggio per il soggetto collettivo a cui appartiene; inoltre, anche qualora dal fatto illecito non sia derivato alcun vantaggio per detto soggetto, ovvero il vantaggio sia solo minimale, il solo fatto che sia stato posto in essere il comportamento delittuoso determina la responsabilità ex D. Lgs. 231, ancorché in sede di applicazione delle sanzioni il Giudice dovrà tenere conto di queste circostanze attenuanti e, quindi, pervenire all’applicazione di una sanzione ridotta.

La seconda esimente - ed è sicuramente quella più importante in relazione allo scopo del presente articolo -  risiede nel fatto che le società e gli  enti a cui si applicano le  disposizioni sulla responsabilità civile ex D. Lgs. 231, abbiano provveduto ad adottare, a mezzo del proprio Organo dirigente (normalmente il Consiglio di Amministrazione), ed efficacemente attuato, prima della commissione dei fatti che sono presupposto del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire il fatto (ossia, il comportamento illecito) che è il presupposto dell’ipotesi di  reato contemplata dalla norma.

La previsione del modello organizzativo previsto dal D. Lgs. 231, in tal senso, e sebbene non sia obbligatorio, rientra nel più generale dovere di controllo dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile delle società che il codice civile, all’articolo 2381 comma 5, impone all’organo amministrativo.  

L’adozione di tale modello, si precisa, è facoltativa; tuttavia, diventa una scelta necessitata qualora le società ed enti intendano avvalersi dell’esimente prevista dalla norma nel caso di illeciti posti in essere dai propri amministratori ovvero dai propri dipendenti.

Il presupposto di partenza per la costruzione (elaborazione) del modello organizzativo è la puntuale disamina ed individuazione delle aree e dei settori di attività in cui possono verificarsi gli illeciti; in questa prima fase si dovranno verificare i livelli organizzativi interni e le relative procedure (mansionari, protocolli, deleghe di potere); indi, si provvederà alla rilevazione dei processi che costituiscono il sistema di controllo interno, individuando le attività sensibili, i reati presupposto, le strutture dell’impresa che ne sono coinvolte; infine, si perverrà alla costruzione del proprio e specifico modello organizzativo che normalmente ricomprende il codice etico ed il codice disciplinare. Il codice etico è sostanzialmente un codice di comportamento volto a delineare i diritti, i doveri e le responsabilità  delle società / enti nei confronti di tutti i portatori di interesse; rappresenta, se così si può dire, un poco la deontologia aziendale ed in tale modo si pone come strumento diffusivo della conoscenza della politica aziendale presso i dipendenti ed i terzi. Il codice disciplinare invece individua il sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure previste nel modello organizzativo; i destinatari delle sanzioni sono sia i vertici aziendali, sia le persone in posizione subordinata. Le sanzioni comminabili, in funzione crescente rispetto alla gravità del fatto illecito, vanno dal semplice rimprovero verbale o scritto, alla multa, alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione, al trasferimento per punizione ovvero, nei casi più gravi, al licenziamento.

Il modello organizzativo così predisposto ed adottato però non è un documento statico e non modificabile; il medesimo D. Lgs. 231 prevede che sia periodicamente aggiornato anche in funzione di nuove ipotesi di reato-presupposto che il legislatore ritenesse di fare rientrare fra le ipotesi previste come fonti di responsabilità civile da illecito penale per l’impresa.

A tal fine è prevista la nomina di un organismo autonomo ed indipendente che è appunto il cd. Organismo di Vigilanza (OdV) che ha il compito precipuo di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del modello di organizzazione e di curarne il costante aggiornamento. Tale Organo potrà anche avvalersi, in ordine al suo incarico, di consulenti esterni per l’esecuzione delle operazioni tecniche necessarie per lo svolgimento delle sue funzioni.

La posizione dell’OdV nell’ambito della società / ente dovrà garantirne, e salvaguardarne, l’autonomia dell’iniziativa di controllo da ogni forma di interferenza e/o di condizionamento da parte di qualunque componente della stessa società / ente ed in particolare dell’organo dirigente. Dal punto di vista dell’organigramma l’OdV può quindi essere utilmente inserito quale organo di staff ai massimi livelli con incarico di riferire l’esito della propria attività alla Direzione aziendale ovvero al Consiglio di Amministrazione.

L’OdV dovrà pertanto vigilare in via continuativa sul funzionamento e sull’effettività del modello, verificandone la adeguatezza formale e sostanziale (ossia, la sua reale capacità di prevenire, in linea di massima, i comportamenti illeciti) e curandone l’aggiornamento sia nel caso di previsione, da parte del legislatore, di nuovi reati rilevanti ai fini della responsabilità ex D. Lgs. 231, sia nel caso si rendano necessari interventi correttivi e/o altri adeguamenti.

Una volta insediato sarebbe opportuno che l’OdV, che può essere sia monocratico ovvero in composizione collegiale, predetermini un programma periodico di verifiche e di riunioni;  una volta almeno all’anno (si riterrebbe opportuno, se possibile, in concomitanza della fase di approvazione del bilancio di esercizio) provvederà a redigere ed a trasmettere al Consiglio di Amministrazione ed eventualmente, laddove istituito, al Collegio Sindacale (ovvero al Sindaco unico), la propria relazione sull’attività svolta.

In ordine all’attività dal medesimo svolta avrà diritto ad un compenso commisurato al livello dimensionale ed organizzativo dell’azienda, alla valutazione delle aree di rischio ed alla complessità del modello adottato. Al medesimo dovrà essergli altresì affidato un budget economico che sia idoneo ad assumere le decisioni di spesa necessarie per assolvere alle proprie funzioni (ad esempio, per consulenze esterne, per trasferte, etc.).

L’impresa, quindi, che incorra in un comportamento di un proprio amministratore o di un proprio dipendente che costituisca un illecito penale da cui possa derivarne una fonte di responsabilità civile ai sensi del D. Lgs. 231/2001, può utilmente eccepire come esimente dalla responsabilità patrimoniale l’adozione di un modello organizzativo atto a prevenire i comportamenti illeciti; modello che, come richiede la norma, sia realmente applicato posto che esiste un Organismo di Vigilanza che ne verifica la funzionalità e l’adeguatezza e ne cura il periodico aggiornamento.

 

(A cura del Dott. Gioacchino Dell’Olio)